Introduzione
Negli ultimi anni, la gestione delle risorse umane ha subito una trasformazione significativa: le aziende non si limitano più a misurare le performance dei propri collaboratori, ma cercano di garantire un ambiente di lavoro sano, motivante e capace di favorire la crescita personale.
In questo contesto è nata la figura del Chief Happiness Officer (CHO): un professionista dedicato a promuovere il benessere dei dipendenti, migliorare il clima aziendale e sostenere una cultura organizzativa positiva.[1][2]
La crescente attenzione verso tematiche come work life balance, engagement e welfare aziendale rende questa figura sempre più richiesta, soprattutto in realtà dinamiche e innovative.
INDICE DEI CONTENUTI
Il termine Chief Happiness Officer è il più diffuso a livello internazionale, ma esistono anche varianti come manager della felicità, happy manager o responsabile del benessere aziendale. Queste denominazioni riflettono la stessa missione: prendersi cura delle persone per migliorare i risultati del business.
L’evoluzione del concetto risale alle aziende della Silicon Valley, che già nei primi anni 2000 avevano introdotto figure dedicate a garantire un ambiente lavorativo stimolante e informale. Da allora, il ruolo si è progressivamente diffuso anche in Europa, adattandosi alle specificità culturali di ciascun Paese. In Italia, per esempio, si nota una forte correlazione tra Chief Happiness Officer e HR innovation, con un focus sullo sviluppo di soft skill e sulla centralità del benessere come leva competitiva.
Chief Happiness Officer: cosa fa concretamente
Il Chief Happiness Officer ha il compito di progettare e implementare strategie mirate al benessere delle persone in azienda. Le sue attività quotidiane possono essere molto varie: vediamone alcune!
- Ascolto attivo e survey interne per monitorare la soddisfazione dei dipendenti.
- Organizzazione di attività di team building e momenti di socializzazione.
- Creazione di programmi di welfare aziendale come assicurazioni, benefit, servizi di supporto.
- Supporto al work life balance, ad esempio con politiche di smart working e orari flessibili.
- Promozione della cultura aziendale attraverso eventi, comunicazioni interne e iniziative valoriali.
Gli obiettivi principali del CHO sono chiari: aumentare la produttività, ridurre lo stress e il turnover, e rafforzare il senso di appartenenza. Un collaboratore che lavora in un contesto positivo, infatti, tende a esprimere meglio il proprio potenziale, con impatti concreti anche sulla redditività dell’impresa.
Competenze e certificazioni
Diventare Chief Happiness Officer[3] non significa soltanto avere empatia e capacità relazionali: è necessario un mix di competenze psicologiche, manageriali e comunicative. Quali sono le competenze e soft skill più richieste per lavorare in questo ruolo?
- Psicologia del lavoro e gestione delle dinamiche di gruppo.
- Competenze HR legate a selezione, formazione e sviluppo.
- Change management, per accompagnare l’azienda nei processi di trasformazione.
- Capacità di comunicazione e leadership positiva.
- Analisi dei dati HR: survey, KPI sul benessere, tasso di engagement.
Sul fronte della formazione, tra le prime a portare in Italia la cultura della felicità in azienda ci sono state Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio[4], le fondatrici di “2BHappy Agency”[5], che hanno poi creato anche l’Italian Institute for Positive Organizations[6].
Alcune certificazioni riconosciute a livello internazionale, invece, includono i programmi di Happiness Studies Academy[7] o percorsi sviluppati da associazioni HR. Frequentare workshop e corsi di specializzazione in positive psychology, coaching e wellbeing management può rappresentare un vantaggio competitivo per chi aspira a questa carriera.
Benefici per aziende e dipendenti
Introdurre un CHO in azienda può portare a vantaggi sia per l’organizzazione sia per i collaboratori.
- Maggiore produttività: i dipendenti più felici possono essere più produttivi.
- Riduzione del turnover: un ambiente positivo fidelizza i talenti e riduce i costi legati al recruiting.
- Miglioramento del clima aziendale: relazioni più sane e collaborative favoriscono la coesione dei team.
- Employer branding più forte: un’azienda che si prende cura delle persone è percepita come attrattiva dai candidati.
- Benessere psicofisico: riduzione dello stress, maggiore equilibrio vita-lavoro e prevenzione del burnout.
In sintesi, investire sulla felicità non è solo un gesto etico, ma una strategia di business intelligente.
Esempi di aziende
Secondo una ricerca di Business.com[8], sono molte le aziende che hanno inserito nel proprio organico (per un periodo o tuttora) una figura che si occupa in generale della felicità e del benessere dei dipendenti, anche se spesso usano job title molto diversi tra loro. Ecco alcuni esempi:
- Airbnb: Global Head of Employee Experience
- Coca-Cola: Benefits and Well-Being Manager
- Deloitte: Chief Well-Being Officer
- Ernst & Young: Chief Well-Being Officer
- Google: Chief Happiness Officer
- Mount Sinai Health System: Chief Wellness Officer
- Rakuten: Chief Well-Being Officer
- Salesforce: SVP of Employee Success
- SAP: Chief Happiness Officer
- Siemens: Head of Wealth & Well-Being
- TikTok: Global Well-Being Program Manager
- Unilever: Chief Health & Well-Being Officer
A volte, il Chief Happiness Officer si affianca all’HR Manager con un focus diverso: dipende molto dal tipo di azienda e dalla sua organizzazione. Teoricamente la differenza tra i ruoli è la seguente!
- HR Manager: si occupa principalmente di processi amministrativi, contrattuali e di gestione del personale.
- Talent Manager: lavora sullo sviluppo delle competenze e sulla crescita dei talenti in azienda.
- Chief Happiness Officer: concentra l’attenzione sul benessere, la motivazione e la cultura positiva.
Mentre le figure HR tradizionali rispondono a necessità organizzative e legali, il CHO ha una visione più olistica e proattiva, legata alla qualità della vita lavorativa. Spesso però, le aziende non possono permettersi 3 figure diverse e quindi i confini delle competenze e dei ruoli diventano più labili.
Sfide e prospettive future
Il ruolo del Chief Happiness Officer si trova oggi ad affrontare diverse sfide.
- Misurazione del benessere: non sempre è semplice tradurre in KPI la felicità dei dipendenti.
- Diffidenza culturale: in alcune realtà tradizionali la figura del CHO è vista come superflua.
- Equilibrio costi-benefici: le aziende devono valutare investimenti e ritorni in modo concreto.
Tuttavia, le prospettive sono positive. Con l’aumento dello smart working, la crescente attenzione alla salute mentale e la centralità della employee experience, il Chief Happiness Officer potrebbe essere sempre più richiesto. In futuro potrebbe diventare una figura standard in ogni organizzazione strutturata, al pari dell’HR manager.
Conclusione
Il Chief Happiness Officer rappresenta un’evoluzione naturale del mondo HR: una figura strategica, capace di unire competenze psicologiche, gestionali e comunicative per costruire un ambiente di lavoro positivo e produttivo. Non si tratta di un “lusso” riservato alle grandi aziende, ma di una scelta concreta che migliora le performance e la reputazione dell’organizzazione.
Diventare CHO significa abbracciare una missione: mettere al centro le persone e il loro benessere, consapevoli che la felicità sul lavoro è un fattore chiave di competitività.