Introduzione
Il mentoring è da sempre considerato uno strumento fondamentale per la crescita professionale: un dipendente con più esperienza guida un collega più giovane, aiutandolo a sviluppare competenze e ad affrontare sfide lavorative. Negli ultimi anni, però, si è diffuso un approccio innovativo che ribalta questa logica: il reverse mentoring.
Con questo termine si indica un processo in cui sono i dipendenti più giovani – spesso appartenenti alla generazione dei Millennial o della Gen Z – a supportare colleghi senior nel potenziamento delle loro competenze, in particolare digitali, ma non solo.
ll reverse mentoring nasce come strumento di aggiornamento reciproco e dialogo intergenerazionale, e si sta affermando sempre più come una leva strategica per le aziende che vogliono innovare e creare un ambiente di lavoro inclusivo.[1]
INDICE DEI CONTENUTI
Differenze tra mentoring tradizionale e reverse mentoring
Nel mentoring tradizionale il flusso di conoscenza va dall’alto verso il basso: il senior trasmette competenze tecniche, soft skill e visione del business al junior. È un modello consolidato che ha dimostrato nel tempo grande efficacia.
Il reverse mentoring, invece, ribalta il paradigma. Qui sono i giovani collaboratori a “insegnare” ai colleghi senior, spesso manager o dirigenti, offrendo competenze aggiornate su temi come:
- uso di nuove piattaforme digitali e social media,
- sensibilità verso diversità e inclusione,
- nuove modalità di comunicazione e linguaggio delle generazioni emergenti,
- sostenibilità e cultura aziendale purpose-driven (una cultura organizzativa che mette al centro uno scopo, purpose, più ampio del semplice profitto): temi molto sentiti dalle generazioni più giovani.
Un esempio pratico?
Il manager può condividere col giovane insight su leadership, gestione di team complessi e processi aziendali. A sua volta, un neoassunto della Gen Z può affiancare un manager nella gestione di LinkedIn, TikTok o nella comprensione delle dinamiche del social commerce, aree meno familiari a chi ha iniziato la carriera in un’epoca pre-digitale.
Benefici del reverse mentoring per aziende e professionisti
Le aziende che adottano programmi strutturati di reverse mentoring possono trarre vantaggi significativi su più fronti.
- Innovazione: favorire uno scambio continuo di idee consente di integrare nuove prospettive nei processi decisionali.
- Digitalizzazione: i senior accelerano la loro curva di apprendimento su strumenti digitali, contribuendo alla trasformazione tecnologica dell’impresa.
- Inclusione generazionale: abbattere barriere tra età e ruoli permette di costruire una cultura aziendale più collaborativa e meno gerarchica.
- Employer branding e talent attraction: i giovani professionisti sono attratti da contesti che valorizzano la loro voce. Un’azienda che adotta il reverse mentoring si posiziona come realtà aperta, dinamica e orientata al futuro.
E per quanto riguarda i lavoratori stessi? Nel reverse mentoring, entrambi i profili coinvolti ne traggono valore.
- Per i dipendenti junior: rappresenta un’opportunità per accedere a ruoli di responsabilità indiretta, sviluppare capacità di comunicazione e leadership, ampliare il networking interno e sentirsi parte attiva della crescita aziendale.
- Per i dipendenti senior: è un’occasione per aggiornare competenze, aprirsi a nuovi modi di pensare, ridurre il divario generazionale e rafforzare il rapporto con le nuove leve.
Questa crescita reciproca contribuisce a creare un clima aziendale più collaborativo, riducendo i conflitti e aumentando l’engagement.
Certamente, il reverse mentoring non è l’unica modalità di apprendimento tra pari o tra generazioni.
- Peer mentoring: prevede lo scambio di competenze tra colleghi di pari livello o seniority simile. È utile per rafforzare la collaborazione e condividere buone pratiche operative.
- E-mentoring: utilizza piattaforme digitali per collegare mentor e mentee anche a distanza, favorendo flessibilità e scalabilità.
Rispetto a questi modelli, il reverse mentoring si distingue perché mette esplicitamente in discussione la logica gerarchica, valorizzando i giovani come portatori di competenze strategiche.
Implementazione pratica: come strutturare un programma di reverse mentoring efficace
Per trasformare il reverse mentoring da semplice iniziativa a reale leva di sviluppo serve un approccio strutturato.
- Definire obiettivi chiari: per esempio, accelerare la digitalizzazione, migliorare la cultura inclusiva o favorire lo scambio intergenerazionale.
- Selezionare i partecipanti: identificare giovani con competenze digitali o culturali forti e manager disponibili a mettersi in gioco.
- Creare abbinamenti mirati: la coppia mentor–mentee deve essere formata in base a interessi e obiettivi condivisi.
- Stabilire un piano di incontri: regolare e continuo, con obiettivi progressivi.
- Monitorare e valutare i risultati: raccogliendo feedback e misurando l’impatto sul clima aziendale e sulle competenze acquisite.
Un programma ben strutturato deve essere supportato dal top management, che ne legittima il valore e ne favorisce la diffusione.
Esempi di reverse mentoring
Alla fine degli anni ‘90, il cosiddetto WWW cominciò ad entrare nelle case e nelle aziende. Fu lì che Jack Welch, l’allora CEO di General Electric, attuò un progetto pilota che vedeva 500 dipendenti senior e junior accoppiati in modo che i giovani, più avvezzi a capire e maneggiare questa nuova tecnologia, potessero aiutare i senior a rimanere al passo.
Da allora sono state diverse le realtà che hanno adottato questa pratica. Vediamo un paio di esempi.
BNY Mellon Pershing
La società finanziaria BNY Mellon Pershing nel 2019[2] ha aumentato il tasso di fidelizzazione al 96% per i 77 millennial che hanno partecipato al suo programma di reverse mentoring per tre anni. Certo, non ci sono prove che il reverse mentoring fosse l’unica motivazione, ma ci sono state evidenze del fatto che i giovani desiderassero davvero essere riconosciuti importanti nel loro ruolo e questo tipo di relazione ha aiutato a raggiungere l’obiettivo. Il programma prosegue ancora oggi![3]
Barilla
Barilla ha cominciato a parlare di reverse mentoring nel 2018 grazie all’attività del gruppo Y.O.U.N.G. (Young Original Unique Network Generations) che si occupa delle tematiche generazionali, attraverso lo sviluppo di attività che promuovano il dialogo tra Millennial, Gen X e Baby Boomer, creando valore sia per i dipendenti sia per l’azienda stessa.[4]
Sfide e possibili criticità
Nonostante i benefici, il reverse mentoring presenta alcune sfide che le aziende devono affrontare.
- Differenze culturali: non sempre i manager sono pronti a farsi guidare da colleghi più giovani.
- Resistenze interne: possono emergere scetticismo o timori legati alla perdita di autorevolezza.
- Gestione delle aspettative: se non strutturato bene, il programma rischia di ridursi a una serie di incontri poco utili.
Per superare queste criticità è essenziale lavorare sulla cultura aziendale, promuovendo apertura al cambiamento e valorizzando i risultati ottenuti.
Conclusione
Il reverse mentoring non è una moda passeggera, ma una pratica che riflette la trasformazione profonda del mondo del lavoro. La crescente complessità dei contesti organizzativi, la digitalizzazione e la necessità di attrarre nuove generazioni di talenti rendono questo approccio una leva strategica per le aziende.
Valorizzare il contributo dei giovani e creare uno scambio reale con i senior significa investire in innovazione, inclusione e futuro.
Per questo il reverse mentoring rappresenta non solo uno strumento di sviluppo, ma un vero e proprio acceleratore della competitività aziendale e un’opportunità per ripensare la gestione delle risorse umane in chiave moderna e sostenibile.